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La morte di Umberto
Eco (οἶκος, casa, economia etc.) mi ha non poco rattristato. Uno degli
intellettuali più famosi a livello internazionale, e dei più fecondi (e
facondi). È stato per i nostri sciagurati tempi quello che Benedetto Croce fu
per i suoi, un ago della bilancia culturale, un costante e imprescindibile
punto di riferimento. Io l’ho conosciuto culturalmente nello scorcio degli anni
’70 quando insegnavo al liceo La Farina: testi come “Opera aperta” o il più
recente “Lector in fabula” non potevano sfuggire alla mia prensile e mai
appagata curiositas culturale. È
stato un inventor, un euretḗs di generi letterari, nel senso
che li ha rinnovati dall’interno. Ha sondato da scienziato tutti i campi del
sapere e dell’attualità. Un testo come “Fenomenologia di Mike Bongiorno”
scopriva il punto di appeal del celebre presentatore italo-americano, lo
scopriva proprio in quella mediĕtas,
in quel barcamenarsi tra gli estremi, in quella aurea mediocritas che il buon Orazio vivamente raccomandava.
“Opera aperta”
insegnava agli intellettuali italiani, soprattutto a quelli che operavano nella
scuola come docenti che un’opera è appunto sempre aperta: aperta al momento
storico che costantemente si rinnova e non trova mai abbentu. L’opera si arricchisce dei contributi esegetici e
interpretativi che diventano così parte integrante di essa. Per il seguito non
si potrà non tenerne conto.
Quanto al romanzo
ambientato nei meandri della cultura e del tempo medievali, “Il nome della
rosa” divenne il prototipo di una narrativa tra noire e gialla situata in un
preciso arco spazio-temporale. È inutile ricordare come anche quest’opera di
Eco centrasse pienamente l’obiettivo e suscitasse una validità di consenso e di
eco (se mi si passi il calembour) di carattere mondiale.
È facile prevedere
che dopo la grancassa dei mass media (radio, giornali, televisione e
quant’altro) fra una settimana l’immagine di Eco sarà come stinta, sbiadita,
scolorita. È destino dei grandi, ma aggiungerei di ogni destino umano, che
raggiunto l’apice della montagna incantata si cominci a scendere nella valle
sottostante, dove scorre il Lete, il fiume della dimenticanza e, peggio, della
trascuranza.
Ma è anche
peculiare dei grandi che il loro nome riluca, sfavilli e viva di gloria eterna,
imperitura ogni qualvolta qualcuno prende in mano i loro libri per amorevolmente
studiarli, e procedere sicuro lungo la direzione da essi additata.
Domenico Franciò