martedì 26 luglio 2011

La religione del bar

Dal risvolto di copertina del libro di Domenico Franciò, La religione del bar, Intilla editore, Messina 1987 (1a ristampa 2005).

         
Il racconto eponimo, che dà titolo alla raccolta, è la sommessa celebrazione di quello spirito solidale e fraterno che intride di sé luoghi e situazioni spesso refrattari. Questa corrente di umana simpatia determina il tono fondamentale di un raccontare che predilige la linea diacronica (esperienze della fanciullezza e dell’adolescenza saldate a luoghi ed eventi particolari) senza però trascurare la dimensione sincronica che accoglie esperienze adulte legate soprattutto al mondo della scuola. L’una, che in filigrana si lascia interpretare come una sorta di romanzo di formazione, dà vita insieme con l’altra a un tramato di piccoli, importanti accadimenti e di brevi pause riflessive. L’autore – lo sottolineava Salvatore Costanza nella Presentazione – mette tra sé e il narrato un argine, una distanza che gli consente di cautelarsi dal rischio di trappole facilmente nostalgiche.
La misura cui in genere si tengono i racconti è breve, intensa, non immemore della lezione di certi classici.
Dal principio alla fine si avverte, discreta e leggera, una presenza che sembra respirare aria di mito. Messina, sia che resti sullo sfondo sia che s’avanzi sul proscenio, è non tanto municipalità e localismo, buoni solo per cartoline illustrate, quanto luogo d’anima, terra d’elezione.

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