venerdì 12 marzo 2021

Ripensamenti e rimpianti

 

Se mi si chiedesse di riassumere nel modo più conciso quali siano le cose più importanti per la nostra vita, non avrei un attimo di esitazione nell’indicare il “sugo”, come avrebbe detto il buon Manzoni, della nostra vicenda esistenziale, con concetti espressi da due parole, entrambe comincianti con la lettera r: rimpianto e ripensamento.

Di quest’ultima parola sono debitore a Augusto Mancini, maestro in quel di Pisa del mio indimenticabile professore di liceo Giovannino Brancato.

Mancini, nell’ultima pagina della sua letteratura greca, sotto l’aspetto stilistico alquanto ardua per pivellini teneri denti liceali, concludeva così: «La vita è in gran parte ripensamento».

Fermiamoci, e cerchiamo di tirar fuori dalla riflessione il massimo che ci sia consentito.

Ripensare significa tornare a pensare qualcosa a cui in precedenza abbiamo rivolto l’attenzione, e di sicuro verranno fuori aspetti che in un primo momento c’erano sfuggiti.

Ripensare dunque è una pratica d’igiene mentale quanto mai valida per mantenere vivi, mobili, vivaci cervello e cuore.

Certo, il ripensare può portare a rivivere, o mantenere in vita, accadimenti che ci hanno fatto male, che ci hanno ferito, talora in modo così profondo da generare un vulnus non sanabile, per quanti sforzi si faccia.

In linea di massima, tuttavia, se gli anni ci hanno fornito un congruo numero di anticorpi per far fronte ai reiterati assalti del virus doloroso dei ricordi, si può, senza cancellarne la memoria, attenuarne l’impatto.

L’altra parola invece sarebbe gran fortuna per noi se sparisse dal vocabolario e squagliasse come neve al sole meridiano pallido e assorto.

Per esperienza personale non conosco cosa che procuri e lasci tanto amaro quanto il rimpianto.

– Avrei potuto fare questo, e non prendere quella decisione che si è rivelata sbagliata, e che tante sofferenze ha causato. Le cose in vece di prendere quel verso, avrebbero potuto prenderne un altro, e andare, insomma, diversamente da come sono andate. E via di questo passo.

Col lagnoso rimpianto, mai costruttivo, sempre distruttivo, per non farla lunga e rischiare di infliggere una noia mortale in chi ci legge, c’è poco da fare. Con tutta la buona volontà di questo mondo, raramente se ne esce. E, ammesso che si abbia la fortuna di venirne a capo, sicuri non si può mai essere che non ritorni con maggiore veemenza e virulenza. E più dolenti aculei.

Domenico Franciò