Se mi si chiedesse di riassumere nel modo
più conciso quali siano le cose più importanti per la nostra vita, non avrei un
attimo di esitazione nell’indicare il “sugo”, come avrebbe detto il buon
Manzoni, della nostra vicenda esistenziale, con concetti espressi da due
parole, entrambe comincianti con la lettera r: rimpianto e ripensamento.
Di quest’ultima parola sono debitore a
Augusto Mancini, maestro in quel di Pisa del mio indimenticabile professore di
liceo Giovannino Brancato.
Mancini, nell’ultima pagina della sua
letteratura greca, sotto l’aspetto stilistico alquanto ardua per pivellini
teneri denti liceali, concludeva così: «La vita è in gran parte ripensamento».
Fermiamoci, e cerchiamo di tirar fuori dalla
riflessione il massimo che ci sia consentito.
Ripensare significa tornare a pensare
qualcosa a cui in precedenza abbiamo rivolto l’attenzione, e di sicuro verranno
fuori aspetti che in un primo momento c’erano sfuggiti.
Ripensare dunque è una pratica d’igiene
mentale quanto mai valida per mantenere vivi, mobili, vivaci cervello e cuore.
Certo, il ripensare può portare a rivivere,
o mantenere in vita, accadimenti che ci hanno fatto male, che ci hanno ferito,
talora in modo così profondo da generare un vulnus
non sanabile, per quanti sforzi si faccia.
In linea di massima, tuttavia, se gli anni
ci hanno fornito un congruo numero di anticorpi per far fronte ai reiterati
assalti del virus doloroso dei ricordi, si può, senza cancellarne la memoria,
attenuarne l’impatto.
L’altra parola invece sarebbe gran fortuna
per noi se sparisse dal vocabolario e squagliasse come neve al sole meridiano
pallido e assorto.
Per esperienza personale non conosco cosa
che procuri e lasci tanto amaro quanto il rimpianto.
– Avrei potuto fare questo, e non prendere
quella decisione che si è rivelata sbagliata, e che tante sofferenze ha
causato. Le cose in vece di prendere quel verso, avrebbero potuto prenderne un
altro, e andare, insomma, diversamente da come sono andate. E via di questo
passo.
Col lagnoso rimpianto, mai costruttivo,
sempre distruttivo, per non farla lunga e rischiare di infliggere una noia
mortale in chi ci legge, c’è poco da fare. Con tutta la buona volontà di questo
mondo, raramente se ne esce. E, ammesso che si abbia la fortuna di venirne a
capo, sicuri non si può mai essere che non ritorni con maggiore veemenza e virulenza.
E più dolenti aculei.
Domenico
Franciò