Carissima Silvana,
credo che nell’immaginario collettivo sia
rimasta una delle icone del cinema italiano, tu che della tipica bellezza
mediterranea, e, in particolare, italiana sei una delle più
rappresentative.
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da iodonna.it |
La tua carriera, agli inizi, non differisce granché da quella di tant’altre giovani donne, che, consapevoli della propria bellezza, si prefiggono una elevazione del livello socioeconomico. Di qui la partecipazione ai concorsi di bellezza su scale cittadina, regionale, nazionale (“Miss Italia”) è d’obbligo.
Il regista De Santis, in cerca della
protagonista del film che aveva in animo di girare, aveva già fatto decine di
‘provini’ senza trovare quel che faceva al caso suo.
Il film sarebbe stato ideologicamente di
sinistra, intendeva cioè denunciare all’opinione pubblica la condizione delle
mondine della Val Padana, che, sottoposte a un lavoro massacrante, erano
sottopagate: uno sfruttamento vero e proprio, perpetrato su giovani, determinatissime
a portare a casa un tozzo di pane.
Pare, se non ricordo male, che un provino
l’avesse fatto pure a te. T’eri presentata con i capelli gonfi, cotonati: venisti
immediatamente scartata. Senonché – quando si dice il caso o il destino, vallo
a sapere – lo stesso regista ebbe una sera ad incontrarti per strada, una serata
da diluvio universale: i capelli, del tutto lisciati, misero nel dovuto risalto
il bellissimo, luminoso tuo volto.
Non c’era più motivo di cercare: scelta
fatta, la protagonista di Riso amaro
era stata trovata.
Si era negli anni a ridosso della seconda
guerra mondiale. L’Italia tutta, dall’Alpi al Lilibeo, percorsa da fermenti,
fremiti, slanci di vitalità, dopo avere attraversato tutte le sofferenze, i
patimenti, le ristrettezze che la guerra, ogni guerra, comporta, aveva una
voglia matta di rialzarsi, risorgere, riprendere una vita normale, tornare alle
vecchie abitudini, e, insieme, imprimere un avviamento nuovo, anzi una svolta
alla propria storia.
La tua immagine di florida ventenne
(avresti fatto parte del gruppo ristretto delle cosiddette ‘maggiorate fisiche’
insieme alla Lollo, alla Loren, alla Pampanini e a quant’altre) che balla
nell’aia, con un fil di fieno tra i denti, uno sfrenato boogie-woogie, ancheggiando
sinuosamente e seduttivamente, occhio malizioso promettente chissà che delizie,
col bieco bandito Gassman, dal volto appena difeso da un cappellaccio, è di
quelle scene destinate a diventare oggetto di culto da parte degli
appassionati.
Il film ebbe uno straordinario successo e,
come si dice in gergo, sbancò ai botteghini. Anche se lo stesso regista, rivelando
un notevole spirito autocritico, parlò di un «fumettone».
Di lì in poi la tua carriera
cinematografica ebbe il vento in poppa, e passasti di successo in successo.
Negli anni la tua bellezza prorompente si
era affinata, il tuo viso s’era fatto quasi etereo, d’una luminosità tutta sua.
Chi non ricorda “arriva il negro zumbon
che balla allegro il bajon”, dove prestavi i moti ritmici del tuo splendido
corpo alla voce cristallina di Flo Sandon’s.
Hai conosciuto i più importanti registi e
sei diventata una star internazionale. Tutto questo, tuttavia, non reggeva con
l’attitudine a vivere una vita familiare serena, con tuo marito, l’importante
produttore napoletano De Laurentiis, e coi tuoi tre figli, due femmine e un
maschio.
Ma il destino era in agguato, pare non
aspettasse che il momento buono per riscuotere a prezzo maggiorato la gioia, la
felicità che t’era stata data. Gli antichi greci avrebbero trovato al riguardo
una riprova dello φθόνος τῶν θεῶν, l’invidia degli dei: quasi che essi non ce
la facciano proprio a sopportare che un mortale sia di loro più felice.
Accadde l’ineluttabile. Nell’aereo che
andò a schiantarsi al suolo c’era tra i passeggeri il tuo amatissimo figlio
ventenne.
La “elaborazione del lutto”, di cui si
parla e, a volte, si straparla, in casi come questo, non fu lunga. Fu eterna. E
minò la tua salute alla radice, in modo irreversibile.
Per te, che avevi già accusato degli
scompensi cardiaci (un cuore capriccioso, piuttosto ballerino), fu il colpo di
grazia, quello definitivo che si dà in una esecuzione capitale, per sincerarsi
che la morte sia effettivamente sopraggiunta.
Bellissima (bellissimo anche il nome, evocante
il verde della silva), bellissima e sventurata,
tu, Silvana mia, hai un posto privilegiato nel mio cuore. Che t’ama, t’ama,
t’ama. D’un amore disperato, dolente, folle.
Domenico
Franciò