martedì 22 aprile 2014

Migliore del maschio




Umberto Saba, nella sua più celebre, e “scandalosa”, poesia “A mia moglie”, afferma risoluto, con tono che non ammette replica: la femmina «è migliore del maschio». Un’affermazione certamente suggestiva, che, per grazia di intuito, può essere fatta propria da ognuno.
La lunga, interminabile, sequela animalesca – continuo paragone, tra somiglianze e dissimiglianze, fra la femmina dell’uomo e gli altri animali «che avvicinano a Dio», non ruota in fondo che su un punto: la capacità generativa, propria e peculiare, della femmina dell’animale.
Il maschio getta il seme e ne può gettare, e sperdere, quanto e più ne vuole in infiniti rivoli e rivoletti: insemina a scialo il maschio, ma… c’è un ma. Non è un portento il Nostro in fatto di memoria e, in più, inclina alla torpida non curanza. Genitore di mille figli, padre di nessuno.
Non così la femmina. Quel seme ricevuto, lei se lo coltiva dentro il suo corpo caldo e voluttuoso, lo elabora in perfetto ossequio a legge di natura (iuxta legem naturae), e, con speranza e tenera trepidazione, attende. Spetta a lei, alla femmina d’uomo, far dono della vita: e con tale travaglio di dolore che termini di confronto, o di riscontro, non si rilevano in nessun’altra umana sofferenza.
I greci antichi – sempre loro – dissero tale verità con le parole orgogliose e sprezzanti di Medea allorché asserisce, e non teme affatto smentita, che le ferite sofferte e inferte reciprocamente in battaglia dai combattenti sono davvero misera cosa, un vero e proprio nulla.
La donna, dunque, proprio per questa sua aderenza ai cicli lunari e alla terra, è portatrice di una legge scolpitale dentro dal Creatore; e siccome, almeno a luce di ragione, il Creatore non può volere il male della sua creatura, la femmina umana è la persona più idonea alla costruzione del bene.
Questa spiegazione – concludiamo – vorrebbe, senza prosopopea e senza hybris, dare ragione di una realtà che solo un grande poeta, con fulminea sintesi intuitiva, poteva scolpire in una frase memorabile per verità e per bellezza.
A corollario, quasi a rinforzo nobilitante del concetto espresso, ci sia concesso riportare una bella riflessione di Cartesio, tratta dai “Privati pensieri” (Cogitationes privatae): «[…] i poeti scrivono nell’entusiasmo e nell’impeto dell’immaginazione». E i semi di scienza che sono in noi «i filosofi li traggon fuori con la ragione, i poeti li fanno sprizzar fuori con l’immaginazione, così che risplendono di più».
Domenico Franciò

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