giovedì 22 febbraio 2018

Un poliedrico umanissimo



«Il poeta è un grande artiere, / che al mestiere / fece i muscoli d’acciaio: / capo ha fier, collo robusto, / nudo il busto, / duro il braccio, e l’occhio gaio.»
Giosuè Carducci, Congedo da Rime nuove

Claudio Santamaria. Un formidabile attore, cantante, regista. Laureato in architettura, ha un doloroso rimpianto: non aver potuto (o forse voluto) creare quegli spazi, quelle scansioni che, sole, avrebbero dato sfogo ai suoi estri e alla sua inventività.
Claudio Santamaria (foto tratta da www.radiosubasio.it)
Ha praticamente una faccia di gomma e una tale capacità empatica che gli permette di calarsi in un personaggio e catturarne, con millimetrica esattezza, la sostanza, lo “spirito”. Esemplare in tal senso mi è sembrata l’interpretazione di Rino Gaetano, il cantautore calabrese di Gianna, prematuramente scomparso: tra l’originale e la versione santamariana difficile distinguere chi è l’uno chi l’altro.
L’uomo poi si è rivelato in tutta la sua umanità quando ha confessato che, dopo una interpretazione particolarmente riuscita, è scoppiato in un pianto convulso, ma liberatorio, di gioia. Di felicità. Anzi.
Santamaria ha un faccione aperto, simpatico. È infinitamente grato al suo maestro di Accademia d’arte drammatica “Silvio D’Amico” che gli ha insegnato i trucchi del mestiere. Di un mestiere che considera il più bello al mondo perché e in quanto ti concede di suonare una musica diversa, e cioè una ricchissima e variopinta tastiera di personaggi, sempre vivi, diversi, intensissimi ma quanto mai distanti dal tuo ego. Il che consente di evitare il rischio di un narcisismo che ti porterebbe a disumanarti e a fare di te un tronfio, un pallone gonfiato, uno che si crede “arrivato”. L’ombelico del mondo, insomma, attorno a cui tutto gira e vortica.
Zingaretti e Camilleri (foto tratta da www.radioluce.it)
Sempre in televisione si è assistito ad una confessione del grande Camilleri. Che ha spiegato come, dopo aver lavorato tutta la vita ad allestire e dirigere spettacoli teatrali, il successo improvviso e imprevisto lo ha come travolto quando la figura del commissario protagonista è capitata nelle mani di Luca Zingaretti. Ora, chi si sentirebbe di affermare che il commissario Montalbano non è siciliano? Eppure è così. È  accaduto una sorta di miracolo, che un non-siciliano si sia calato perfettamente nel ruolo di siciliano, con gastronomia sicula annessa e connessa (polipetti in umido, pasta ’ncaciata, caponatina storna, eccetera). Senza farne una caricatura,  come spesso avviene quando si sicilianeggia smaccatamente e a tutto spiano, sprofondando negli stereotipi carnascialeschi e banalissimi della caricatura.
E un’altra cosa, importante, è emersa. Che i personaggi cosiddetti di contorno (un esempio su e per tutti: il simpaticissimo e ossequiosissimo Catarella, tutto inchini e gaffe) sono disegnati in punta di penna con una tale (strepitosa) bravura da incidersi per sempre e definitivamente nella mente. E anche nel cuore.
Domenico Franciò

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