mercoledì 15 luglio 2020

Fratello in Cristo


Stando alla mia esperienza, ma suppongo che faccia parte del vissuto di tantissime persone, almeno di quelle che hanno, per formazione culturale e vicende esistenziali, un non trascurabile diciamo tasso di sensibilità e di consapevolezza, ci sono dei momenti in cui due persone vivono un attimo di straordinaria intensità emotiva, quasi un flash, che però il bulino incide sulla tavoletta di cera e consegna allo scrigno, preziosissimo, dei tuoi ricordi, dai quali puoi, tutte le volte che ti vien voglia, estrarli e riviverli.
Ci sono amicizie che non hanno una durata, uno svolgimento che superi l’éspace d’un matin: eppure, esse non hanno, per quel che mi è dato di pensare e sentire, nulla da invidiare alle amicizie che si alimentano di lunghe frequentazioni, o che, anche in absentia, son lì: salde, sicure, una fonte di bene a cui sai di poter attingere in qualsiasi momento. L’amicizia, insomma, la vera, autentica amicizia, si sottrae alla legge inesorabile del tempo, non basa la sua forza sui soliti parametri, e non prevede, né tantomeno esige, misurazioni col bilancino.
Mi accorgo che, come prodigo, la sto facendo troppo lunga e mi affretto a correre ai ripari, voglioso di concretezza e di consistenza.
Da giovane professore, per una decina e forse per più anni, facevo parte, nel torrido e canicolare luglio, come esaminatore di latino e greco, di commissioni preposte agli esami di maturità.
La sede da me preferita era Catania, con i suoi gloriosi licei “Cutelli” e “Spedalieri”. Ad essi spesso si univano licei privati, gestiti da religiosi.
Premetto che ero allergico alle raccomandazioni, che spesso però, per salvare la faccia del raccomandante, si presentavano sotto le mentite spoglie della ‘segnalazione’, quasi fosse una questione nominalistica e non fosse, come era in effetti, qualcosa che non si accordava o collimava con la giustizia scolastica.
Un prete, dunque, mi raccomanda un ragazzo: lo fa, de visu, con una serietà, una gravità che colpiscono: il giovane esaminando viveva un momento difficile, e aveva bisogno, come si dice, di una mano d’aiuto: altrimenti si sarebbe spenta la luce e sarebbe stato per lui buio, buio pesto. Il tono sofferto, la evidente sincerità mi tolsero ogni residuo di perplessità.
Feci di tutto per mettere a suo agio il giovane, che, rinfrancato, superò la prova con una sua dignitosità.
Al momento di congedarci, entrambi perfettamente consapevoli che non ci saremmo mai più rivisti, nell’abbracciarmi mi disse: – Franciò, fratello in Cristo.
Domenico Franciò

Nessun commento:

Posta un commento