Tempo fa ho visto
alla televisione il Falstaff verdiano, che, come si sa, è l’ultimo, in ordine
cronologico, capolavoro del genio di Busseto. Si trattava di una ripresa dal
vivo dal Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. La direzione era del grande
Zubin Mehta, gli interpreti costituivano un cast che, per quanto possa
immaginare, doveva essere di tutto rispetto. Il testo, mai banale, si incentra
sull’espressione «Tutti gabbati», ripetuta quasi ossessivamente, o meglio con
aria sorniona dal gigantesco e grasso protagonista, un basso dalla voce potente
superbamente portata e modulata, e da un coro formato, in maggioranza, da
donne. Un giovane tenore faceva da contrappunto al protagonista, ripetendo
«Tutti gabbati». Il vertiginoso finale, tipico di tanti capolavori verdiani,
trascinava gli spettatori ad un’ovazione lunghissima, ad entusiastici e protratti
applausi. Poi, la solita passerella, con la compagnia cantante schierata sul
proscenio a raccogliere, con grati inchini, l’esultanza del pubblico. Tenendosi
per mano, formavano gruppo, quasi una catena.
I singoli cantanti
si presentavano all’applauso secondo un ordine gerarchico costituito dai ruoli
ricoperti. Naturalmente l’applauso più grande, incontenibile era per lui, il
gigantesco Falstaff, ma – mi chiedevo – come si fa a trovare un personaggio per
quel ruolo che unisca in sé stazza, talento e voce?
Credo che per un
attore, un cantante, un regista non ci sia momento più gratificante del
riconoscimento da parte del pubblico del suo valore e degli sforzi compiuti in
vista della esibizione. Penso anche che la rivalità e gli antagonismi feroci più
o meno latenti o sommersi, tra gli attori della scena in quel magico momento
vengano superati, e non ci sia proprio posto per invidiuzze del genere.
Quando e se, poi,
le rappresentazioni si concludono a tarda sera, va da sé che la compagnia starà
ancora insieme; stavolta però intorno ad una mensa, dove tra coppe di vino scintillante
e cibi squisiti si rilasserà dalla tensione e dalla fatica sostenute anche se –
c’è da scommettere – qualche rimpianto affiorerà per una battuta non resa a
dovere, per un gesto non proprio congruo, per una risatina non prevista dal
copione...
Domenico Franciò
[Immagine "Falstaff in un dipinto di Eduard von Grützner" tratta da Wikipedia, l'enciclopedia libera]
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