Sto guardando la
foto del calciatore Totti che si mette le mani nei capelli, mentre il volto è
contratto in disperazione. Non c’è dubbio che Totti, giocatore straosannato e
stimato, sia in quell’istante il più infelice degli uomini, aggredito com’è da
un devastante dolore. Se le cose poi andranno secondo desiderio, un’altra foto
lo fisserà, lo ritrarrà tutto diverso, traboccante di gioia infinita e senza
limiti. E perfino estatica.
Gli esempi,
moltiplicabili quanto si vuole, possono abbracciare tutti gli sport, sia individuali
sia collettivi.
Cosa intendo
dire? Che la vita dell’atleta (l’etimo lo definisce lottatore) non è una vita ‘normale’. Nello spazio di un tempo e
luogo determinati – nel caso di Totti una partita di calcio – si assiste alla ‘condensazione’,
intensificazione di tutto ciò che nella vita dei comuni mortali è come diluito
e sperso. L’atleta vive in quei novanta minuti, con estrema serietà ed impegno,
una tale varietà di situazioni e di emozioni che se esse putacaso dovessero irrompere nel quotidiano sarebbe un disastro: scardinerebbe
radicitus il più solido degli
equilibri acquisiti, farebbe piazza pulita d’ogni quieto vivere. Per questo,
chi ha provato quell’esperienza vitale, non appena appende le scarpe al famigerato
chiodo, rischia di sprofondare in un abisso, e di dover lottare, per il
rimanente della sua vita, contro ricorrenti nostalgie, amari rimpianti,
lancinanti rimorsi. E spesso si chiederà: ne valeva la pena? Valeva la pena
essersi assicurato per sé e per i suoi un futuro privo di preoccupazioni
economiche se tale futuro sarebbe stato così tormentato e inquieto? Sì – osiamo
dirgli con la forza della persuasione – ne valeva la pena. Quella vita
oscuramente forte non è concessa a molti: quel dono, quel privilegio, prezioso e rischioso, solo
a pochissimi tra gli uomini è dato sotto il cielo di godere.
E aggiungo a corollario quella bella e saggia riflessione iliadica: “E, anche
se siamo nell’afflizione, lasciamo che le cose siano avvenute come sono
avvenute, domando – altro non possiamo – il θυμός, l’animo nel petto”. E, a
seguire, il forte sigillo beethoveniano: «Muss es sein? – Es muss sein» (Così
deve essere? – Così deve essere).
Domenico
Franciò
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