Socrate |
Il modo
con cui Nicola Abbagnano tratta la figura di Socrate non è asettico, oggettivo,
una maniera per distanziare se stessi e l’oggetto della trattazione. Oserei
dire che lo storico dà tutto se stesso a delineare il giusto profilo
dell’ateniese, quasi per timore che interpretazioni inintelligenti, fasulle,
false e svianti rimpiccioliscano l’importanza dell’influsso che il filosofo ha
avuto, lungo i secoli, nella storia occidentale. Quello che siamo e quel che
vogliamo essere parte da lì. Là è la scaturigine della nostra Kultur, di quel che abbiamo voluto
essere e diventare. Nulla dell’aridità intellettuale che gli è stata imputata
da un Nietzsche. Per lo studioso pugliese Socrate è, sic et simpliciter, la
filosofia, nella sua ragione d’essere e motivazione essenziale: amore per il
sapere, come denuncia chiaramente l’etimo (φιλοσοφία è un amare la σοφία, la sapienza, è una tensione non esaurita né
esauribile verso di essa, che dura quanto dura la vita umana). Socrate era uomo
di forti passioni, di grande coraggio intellettuale e morale. Non guardava al
cielo, i fenomeni naturali che altri attiravano, lo lasciavano del tutto ἀδιάφορος, indifferente. Egli
è l’inventore del dialogo, e della dialogicità, come l’attività insostituibile
su cui si fonda una civile convivenza. Socrate ha insegnato, senza parere e
senza impancarsi a dotto e sapiente come facevano i Sofisti, a non smettere mai
la ricerca del sapere, che è tutt’uno con la virtù. Più sai, più conosci, più
t’accorgi di non conoscere, più tocchi con mano la tua ignoranza. Questa
consapevolezza induce un habitus di
umiltà, ti costringe a non sopravvalutarti, e a riconoscere, in particolare, i
tuoi limiti. Il celeberrimo monito delfico (γνῶθι σαυτόν, gnosce te ipsum) è un invito a scansare la boria, a non riempirsi d’arie.
Questa è sempre mala consigliera e, nella storia dell’uomo, è stata sempre
apportatrice di sventure. I presuntuosi, quelli che presumono di sapere senza
sapere, sono la peggiore genia dell’umanità, un cancro inestirpato e, forse,
inestirpabile, e incurabile, nel quale, una volta incappati, non si vede come
se ne possa uscire. Possono essere assomigliabili alla rana di fedriana memoria
che, presa d’invidia per la magnificenza del bue, si dà dissennatamente a
gozzovigliare aria fino al botto finale rimanendo stinnicchiata a pancia
squarciata.
Ecco
come uno studioso, quando ha fegato, cuore e mente, tratta il suo argomento. Se
ne innamora e te ne innamora. Facessero propria gli insegnanti d’oggi questa
lezione. Non ne trarrebbe profitto la scuola e, tramite essa, l’intera società?
Domenico Franciò
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