«O mente umana al proprio
ben rubella! / Vede tanta sua pace e non la cura, / e stima porto ov’ha flutto
e procella». Celio Magno, Non fuggir, vago augello
Dispensatore d’amore: ecco l’idea che mi sorride, qualcosa che, sorgendo dall’interno
dell’anima, mi dà gioia immensa, fino a toccar felicità. Gesù, venendo a questo
mondo, negli anni in cui ha dato vita alla sua vocazione, che cosa ha fatto se
non sanare, medicare, addolcire le pene e le sofferenze infinite degli uomini:
ha confortato, consolato, incoraggiato, asciugato lacrime, donato il sorriso,
ridato la gioia di vivere. Un Dio che assume forma umana, che s’incarna in un
corpo, un Dio padre che non guarda distaccato ma che partecipa del figlio nella
sofferenza e nella gioia. Farsi ricettacolo d’amore (receptaculum, parola cara a don Chizzini nelle sue impetuose e
trascinanti parole dall’altare) per poi affidarlo, questo amore, al fiume della
vita, affluenti e subaffluenti compresi. Gesù, “il figlio dell’uomo” come amava
autodefinirsi, che, per sottrarsi al male d’origine e vincerlo definitivamente,
si è dato inerme alla crudeltà, alla malvagità, alla spietatezza umana fino al sacrificio
del Golgota.
C’è una retorica del Natale, a non dire della sua disinibita sfrontata
sfacciata spudorata commercializzazione, che vede e vuole gli uomini farsi, da
un momento all’altro per magia, più buoni, più disposti al perdono: i presepi,
le luci degli alberi che s’accendono e spengono alternativamente, i rituali
cerimoniosi. Gli zampognari, con le loro ciaramelle (oh, Pascoli messinese!)
venivano giù, nella infanzia felice, nelle case a suonare con un suono che
usciva dai panciuti otri di cuoio davanti ai presepi: un clima, un’atmosfera
che puntualmente si rinnovava. Oggi si continua ad essere sotto tiro della
minaccia nucleare e di fanatici irresponsabili che, torcendo il collo alla loro
religione, seminano morti stragi massacri.
Fortuna che abbiamo un papa che non si tappa gli occhi per non vedere e
le orecchie per non sentire come la famosa scimmietta, e che conosce a fondo (funditus) in tutte le sue pieghe, propaggini
e ramificazioni la natura umana. Le sue parole, in qualunque circostanza, e
soprattutto quando parla a braccio, incidono come il bulino la pietra e
scuotono le coscienze e i cuori più incalliti, affetti da sclerocardia.
Che il natale di Cristo, che ha reciso di netto la storia in due parti asimmetriche,
possa, in tutti, risvegliare speranze sopite o affievolite o dormitantes (dormicchianti), e portare
sollievo respiro lenimento a chi è nel dolore, nello strazio.
Domenico
Franciò
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