«Il poeta è un grande artiere, / che
al mestiere / fece i muscoli d’acciaio: / capo ha fier, collo robusto, / nudo
il busto, / duro il braccio, e l’occhio gaio.»
Giosuè Carducci, Congedo da Rime nuove
Claudio Santamaria. Un formidabile
attore, cantante, regista. Laureato in architettura, ha un doloroso rimpianto:
non aver potuto (o forse voluto) creare quegli spazi, quelle scansioni che,
sole, avrebbero dato sfogo ai suoi estri e alla sua inventività.
Claudio Santamaria (foto tratta da www.radiosubasio.it) |
Ha praticamente una faccia di gomma e
una tale capacità empatica che gli permette di calarsi in un personaggio e
catturarne, con millimetrica esattezza, la sostanza, lo “spirito”. Esemplare in
tal senso mi è sembrata l’interpretazione di Rino Gaetano, il cantautore
calabrese di Gianna, prematuramente
scomparso: tra l’originale e la versione santamariana difficile distinguere chi
è l’uno chi l’altro.
L’uomo poi si è rivelato in tutta la sua
umanità quando ha confessato che, dopo una interpretazione particolarmente
riuscita, è scoppiato in un pianto convulso, ma liberatorio, di gioia. Di
felicità. Anzi.
Santamaria ha un faccione aperto,
simpatico. È infinitamente grato al suo maestro di Accademia d’arte drammatica “Silvio
D’Amico” che gli ha insegnato i trucchi del mestiere. Di un mestiere che
considera il più bello al mondo perché e in quanto ti concede di suonare una
musica diversa, e cioè una ricchissima e variopinta tastiera di personaggi,
sempre vivi, diversi, intensissimi ma quanto mai distanti dal tuo ego. Il che consente
di evitare il rischio di un narcisismo che ti porterebbe a disumanarti e a fare
di te un tronfio, un pallone gonfiato, uno che si crede “arrivato”. L’ombelico
del mondo, insomma, attorno a cui tutto gira e vortica.
Zingaretti e Camilleri (foto tratta da www.radioluce.it) |
Sempre in televisione si è assistito ad
una confessione del grande Camilleri. Che ha spiegato come, dopo aver lavorato
tutta la vita ad allestire e dirigere spettacoli teatrali, il successo
improvviso e imprevisto lo ha come travolto quando la figura del commissario
protagonista è capitata nelle mani di Luca Zingaretti. Ora, chi si sentirebbe
di affermare che il commissario Montalbano non è siciliano? Eppure è così.
È accaduto una sorta di miracolo, che un
non-siciliano si sia calato perfettamente nel ruolo di siciliano, con
gastronomia sicula annessa e connessa (polipetti in umido, pasta ’ncaciata,
caponatina storna, eccetera). Senza farne una caricatura, come spesso avviene quando si sicilianeggia
smaccatamente e a tutto spiano, sprofondando negli stereotipi carnascialeschi e
banalissimi della caricatura.
E un’altra cosa, importante, è emersa.
Che i personaggi cosiddetti di contorno (un esempio su e per tutti: il simpaticissimo
e ossequiosissimo Catarella, tutto inchini e gaffe) sono disegnati in punta di penna
con una tale (strepitosa) bravura da incidersi per sempre e definitivamente nella
mente. E anche nel cuore.
Domenico Franciò
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